sabato 22 agosto 2009

Sicilia, troppo personale, ce ne vuole ancora!


LA REPUBBLICA PALERMO - SABATO 22 AGOSTO 2009
Pagina I
Il personale gestito a colpi di slogan
Francesco Palazzo


Il presidente della Regione dichiara che gli impiegati regionali sono troppi, 21 mila e più. La notizia è abbastanza datata. Diciamo che non è uno scoop. Ora si dice che si vuole dimezzare il personale e, se è il caso, ricorrere a tagli più drastici. Vedremo. Chissà come questa volontà si può coniugare con l´arruolamento negli organici regionali di esterni, anche fosse una sola persona, e sappiamo che così non è. Tra comandati, consulenti, componenti degli uffici di gabinetto e quant´altro, non si è certo seguita, anche in questi ultimi rivoluzionari tempi, una cura dimagrante. Perché delle due l´una. O alla Regione, tra dirigenti e comparto, si è davvero fatta un´abbuffata in passato, e allora è da quei 21 mila, tra cui statisticamente qualcuno capace e di media intelligenza ci sarà, che vanno tratte le risorse umane per imprimere una svolta alla Regione. Oppure si deve dimostrare che nell´amministrazione non è vero che ci siano tanti stipendiati. È una bufala. Quindi è obbligatorio, necessario, vitale, ricorrere a professionalità esterne. Che spesso, siamo uomini di mondo e ci basta mezza parola, talvolta anche un cenno con le sopracciglia, hanno una bella targa politica appiccicata sulle spalle e magari non dispongono esattamente di profili biografici geniali o anche un minimo superiori alla media.Basterebbe, intanto, riuscire a sciogliere tale contraddizione per capire di cosa stiamo parlando. Successivamente, o contemporaneamente facciano loro, ma dovrebbe essere uno strumento base di partenza, si dovrebbe procedere alla definizione della pianta organica. Che non è un esemplare vegetale esotico, ma semplicemente la lista dei dipendenti con relative posizioni gerarchiche, allocazione nei diversi uffici, titoli di studio, professionalità acquisite nel tempo. Poi procedere ai carichi di lavoro, ossia chi fa cosa e magari, se non sembra esagerato, anche come lo fa. Conoscendo le tue risorse umane, puoi renderti conto di cosa hai in mano, dove sono i tuoi punti deboli, come devi spostare le risorse, quante di queste devi promuovere e chi sono gli scansafatiche.Messa così, sembra semplice venirne fuori. Mica tanto, visto che sino a oggi, per quanto riguarda la gestione del personale regionale, ma a quanto è dato vedere pure in altri settori strategici, siamo fermi all´annacamento. Ossia il massimo di movimento, ovviamente a favore dell´opinione pubblica, con il minimo spostamento dei processi reali. È del tutto chiaro che ci troviamo di fronte a uno dei punti nevralgici di una politica regionale che voglia chiamarsi nuova o, se si è più prudenti, di seconda o terza mano. La gestione trasparente degli uffici regionali, ossia l´utilizzo non casuale, o il non utilizzo, del personale presente, motivando e premiando i migliori, cercando di rendere innocui i lavativi o i terminali finali della politica clientelare, è, anzi dovrebbe essere il caposaldo per chiunque non si accontenti di un rifacimento della facciata, ma voglia ricominciare dalle fondamenta. Ma chi ha un simile coraggio? A oggi, nessuno. Ci si limita, nel migliore dei casi, a ignorare questa gran massa di gente che ogni mattina timbra il cartellino o, sempre più frequentemente, si colonizzano gli uffici con esterni. Non sappiamo quanto bravi e competenti, sicuramente non al corrente di cosa è un´amministrazione molto complessa come quella regionale. L´altro giorno un impiegato regionale mi diceva di sentirsi ai margini, come esiliato nel suo assessorato, e con lui tanti altri. Si chiedeva cosa rimarrà negli uffici quanto i tanti comandati messi in posizioni apicali andranno via, se non si coinvolge tutta l´amministrazione nei processi di cambiamento. Ecco, questo è esattamente il problema. Che non si risolve certo con le dichiarazioni di metà agosto.

martedì 18 agosto 2009

Fuga di cervelli dalla Sicilia: il silenzio dell'omertà e quello del dolore

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
N. 30 del 31/7/2009
LE MORTI BIANCHE DEI GIOVANI IN FUGA
Francesco Palazzo

"Due righe dall'aldilà”. Così iniziava una lettera di un siciliano apparsa ad inizio luglio su La Repubblica - Edizione di Palermo. Proveniva da Milano e la imbucava Alessandro De Lisi. Me la sono ricordata l’altro ieri quando ho avuto una testimonianza diretta dall’aldiquà che mi ha fatto rileggere un’altra lettera sullo stesso argomento, letta recentemente. De Lisi raccontava, in fondo, una storia d’ordinaria amministrazione. Una fra le tante. Perché sono tantissime, basta fare un rapido giro d’orizzonte tra amici e parenti, le biografie che hanno bisogno di staccarsi dalla Sicilia per trovare compimento. Per avere un minimo di gratificazione personale e professionale, in contesti che non sono certo il paradiso, ma che almeno permettono un certo riconoscimento dei meriti e dei saperi. L’amara lettera di De Lisi, morto professionalmente a Palermo e rinato nel capoluogo lombardo, si può associare all’altra che citavo. Era di un ragazzo, che avendo tanti titoli, si chiedeva se vale la pena di andare fuori a cercare fortuna o se non è il caso di restare nell’isola. Giacché, rilevava, migliaia di persone, senza arte né parte, sono arruolate nei corsi formativi, alimentati rigorosamente da fondi pubblici, arrivando a prendere sino a ottocento euro mensili. Oppure, aggiungiamo noi, potrebbe attendere e vedere se gli è possibile entrare nell’ampio bacino del precariato, che ha gonfiato a dismisura gli organici pubblici. De Lisi sosteneva di non avere mandanti da svelare per questa continua emorragia d’intelligenze e questo incessante ingrossamento dello stagno Sicilia. Dove si alimentano clientelismi e la percezione che le casse pubbliche siano soltanto un bancomat dove prelevare, talvolta facendo poco, lo stipendio a fine mese. Ma noi, e certo anche lui, sappiamo chi sono i responsabili. Almeno quelli più diretti. Perché una chiamata più estesa di correità dovrebbe riguardare tutta la società siciliana. E', tuttavia, lampante che coloro i quali sono chiamati a reggere le pubbliche istituzioni, i partiti che vi entrano, avrebbero le chiavi per contenere queste morti civili. Che dopo una lunga e non dignitosa agonia nella terra che li ha visti nascere, poi resuscitano in altri luoghi meno impregnati di malapolitica e sperperi d’ogni tipo, che invece caratterizzano la nostra regione. Che il fenomeno abbia dimensioni enormi, lo si può registrare molto facilmente. L’altro giorno, una testimonianza in diretta dall’aldiquà, come scrivevo, mi ha fatto ripensare alle due lettere. Un ragazzo vivace di un paese della provincia di Palermo, con una recente laurea nel campo ingegneristico delle telecomunicazioni, conseguita presso l’ateneo del capoluogo, metteva fuori, con un sorriso rassegnato tra le labbra, la sua amarezza per non riuscire a trovare sbocchi lavorativi. Per ora fa l’agricoltore nei terreni di famiglia, è impegnato in svariate attività, la maggior parte svolte a titolo gratuito. Riesce a mettere insieme poche centinaia di euro al mese. E’ consapevole che l’aspetta, quando troverà il coraggio, un bel volo verso chissà quale destinazione. Ciò che ancora lo trattiene, si vedeva dalla passione con cui raccontava le cose che fa, è l’attaccamento verso il suo paese. Le tante attività turistiche e artistiche che organizza con i suoi coetanei per rendere più vivibile un pezzo di territorio della provincia. Come definire la sorte e il destino di questi giovani? A me appaiono alla stregua di un’infinità di morti bianche senza funerali. Un triste andare via in silenzio, che ognuno vive da solo, con la famiglia e gli amici più cari. E nel frattempo la politica che fa? Continua a gonfiare i propri ranghi e quelli delle pubbliche amministrazioni di clienti, figli, nipoti e amici degli amici. Gente che, sovente, va avanti senza titoli di studio, nel più scandaloso silenzio. Proprio come quello delle morti bianche di prima, ma di segno diverso. Un silenzio omertoso in questo caso. E poiché dobbiamo saper fare i conti sino in fondo anche con noi stessi, dobbiamo chiederci se pure noi, con le nostre parole che non sanno andare oltre l’indignazione, non facciamo per caso parte di quelli che De Lisi definiva “professionisti della morale”.

sabato 15 agosto 2009

Movida e disturbo della quiete pubblica

LA REPUBBLICA PALERMO - SABATO 15 AGOSTO 2009
Pagina I
Gli esempi da seguire per regolamentare la movida rumorosa
Francesco Palazzo

Sullo stop ai suoni notturni assordanti, che il comune di Palermo sta contrattando con i commercianti di Piazza Olivella, l´altra mattina ascoltavo alla radio la contrarietà e i malumori di un esercente operante nella stessa piazza. Luogo da dove poi, sperando che non si tratti soltanto di un falò di mezzo agosto, estendere, alle altre roccaforti della movida palermitana, lo stop serale ad altoparlanti e rumori molesti di varia natura. Il commerciante sosteneva che non ha senso spegnere i decibel entro la mezzanotte o l´una. Essendo la città piena di turisti, non si renderebbe loro un buon servizio. Motivazione abbastanza chiara, bisogna vedere solo se corrisponde al vero. Abbiamo, infatti, l´impressione che il fare tardi la sera, rompendo i timpani alla gente che vorrebbe dormire, non è tanto un´esigenza dei forestieri, che caso mai, dopo lunghe giornate passate a scarpinare, vanno a letto molto presto, ma degli stessi palermitani. Dunque, c´entra poco il turismo. E, a riprova di ciò, forniamo l´esempio di civiltà di tre località italiane molto importanti, non posti isolati in mezzo alle montagne, che davvero vivono di turismo, visitate nella prima decade di agosto. Abbiamo trascorso quasi una settimana a Montecatini, piena di gente, pulita, con un flusso turistico degno di nota. Niente di paragonabile, per qualità e quantità, ai visitatori che sbarcano a Palermo. Lì si tratta di presenze abbastanza costanti che sostengono l´intera economia di una vasta zona, da noi siamo davanti a un mordi e fuggi che si limita agli orari diurni e non va certo in cerca di notti brave. Ebbene, a Montecatini, pur essendoci diverse attrazioni serali, tipo balere all´aperto e concerti, dopo le ventitré non si sente più anima viva. Tutti a nanna. Tale comportamento riguarda sia i soggiornanti occasionali, sia i residenti. Affacciandoti verso mezzanotte dal balcone della stanza d´albergo, l´impressione era di stare in mezzo al deserto. Evidentemente il turista apprezza, visto che ritorna. Stessa scena a Firenze, a due passi da Piazza della Signoria, uno dei siti più gettonati al mondo. Pure in questo caso, dalla finestra della pensione, dalla quale s´intravede uno scorcio della piazza, il calar delle tenebre, ossia molto prima dello scoccare della mezzanotte, coincide con una quieta assenza di rumori. Tranne il ritmico e rassicurante calpestio, da parte dei pochi che ancora sono fuori, sul vecchio pavimento che circonda la zona. E non è che nei pressi non vi siano locali, bar o pub. Nella stessa piazza, o nel vicino Ponte Vecchio, sino a una determinata ora, cioè mai dopo le ventitré e trenta, musicisti e cantanti di una certa bravura intrattengono allegramente centinaia di passanti. Uguale situazione, segno che dove si vive sul serio di turismo, non è proprio presente nel menù la baldoria sino all´alba, lo abbiamo registrato a Pisa. Alle dieci della sera, a Piazza dei Miracoli, all´ombra della celeberrima Torre, dopo una giornata di folla oceanica e composta, i negozietti avevano già abbassato le saracinesche, dentro e fuori le mura. Le luci si erano spente e ci si preparava a un´altra intensa giornata agostana. È evidente che in questi posti, così come in altri, c´è chi legittimamente preferisce divertirsi, ridere, parlare, ascoltare musica o bere sino all´alba. Vi saranno quindi certamente decine e decine di ritrovi, dove è possibile esercitare la propria libertà insonne, senza tuttavia intaccare quella dormiente della maggior parte della popolazione. Sembra che ve ne sia abbastanza da smentire la tesi dell´esercente, circa la penalizzazione dei turisti a causa della ragionevole, e molto tardiva, scelta del comune di Palermo di intervenire drasticamente. Agli inglesi, ai tedeschi, ai giapponesi, agli ospiti provenienti dalle altre regioni italiane, non importa un fico secco trovare posti all´aperto, in pieno centro, dove fare bagordi sino all´alba. La cosa interessa una piccolissima percentuale di palermitani. Che saranno così gentili da trovarsi opportunità di divertimenti simili, in posti o in orari tali da consentire a tutti delle notti decenti.

giovedì 13 agosto 2009

L'onore dei siciliani

LA REPUBBLICA PALERMO - MERCOLEDÌ 12 AGOSTO 2009
Pagina I
La partita sempre uguale intorno alla Sicilia offesa
Francesco Palazzo

Dobbiamo ammetterlo. Questa volta il boccone per la compagnia dei difensori del buon nome della Sicilia, sempre in allerta per cogliere anche un impercettibile movimento di fronda, era ghiotto. Non poteva sfuggire ai buongustai, alle buone forchette dell´onore perennemente ferito. Nella brochure di una catena alberghiera spagnola compare, nero su bianco, una tagliatina di faccia nei confronti del triangolo appoggiato sul Mediterraneo. E voi volevate, per giunta ad agosto, quando c´è poco da fare, con il Partito del Sud già archiviato, che i nostri amici rimanessero in silenzio? Ovviamente l´esca era pronta anche per noi, ai quali viene naturale insorgere a queste indignazioni stagionali con una reazione uguale e contraria. La partita, sia chiaro, è dura e impegnativa al massimo. Non sappiamo quando è iniziata. Probabilmente non finirà mai, o non terminerà presto. Nei ranghi di ambedue le squadre troviamo di tutto. Un mondo trasversale che pare non si calcoli tanto nei periodi di calma. Ma non è così. Si guardano a vista, le due formazioni, con l´udito teso e le armi della polemica (e della contropolemica) sempre pronte. Non appena è il momento, e qualche malcapitato sgarra, ecco dissotterrate le armi. Sempre pronte, lucide e oleate. In tali momenti, come dice il poeta, s´ode a destra uno squillo di tromba, a sinistra risponde uno squillo. Dove destra e sinistra sono soltanto posizioni geografiche, logistiche, e niente c´entrano con la configurazione topografica e ideologica dello schieramento politico. Che una volta si chiamava dell´arco costituzionale, oggi non sappiamo più come nominarla. Stavolta il richiamo, dicevamo, era potente. Neppure il solleone o lo scirocco potevano bloccarlo, tenerlo calmo, a cuccia. Quel «Sicilia, triangolo nel Mediterraneo, culla di Cosa nostra», immortalato in una brochure alberghiera, è un mortaretto scagliato in mezzo alle tante spinte di rinnovato autonomismo che serpeggiano, in questi ultimi tempi, tra le formazioni politiche che si fronteggiano in Sicilia. Volevate che non si scatenasse il putiferio, con richiesta di scuse formali, subito fornite dalla catena alberghiera? Quest´ultima, d´altra parte, oltre che difendere e non pregiudicare corposi interessi economici, avrà avuto un po´ di timore nel fronteggiare il fuoco di fila che subito si è alzato dalle contraeree della compagnia dei difensori. Il polverone sollevato è, altresì, un tric-trac lanciato tra le gambe di quanti, e forse non sono pochi, non sanno che farsene di autonomismi vari, di centrodestra o di centrosinistra poco importa. E vorrebbero, magari senza esagerare, una normale, ordinaria civiltà sociale e politica. Di quelle che si vedono abitualmente in giro in altre regioni italiane o fuori dal nostro Paese. E nelle ferie estive, avendo la possibilità di varcare più facilmente lo Stretto, ci si rende conto della differenza abissale che passa tra un onore difeso con cattive pratiche, ed è il nostro caso, e una moralità condita di grande decoro e utilizzo per la collettività dei fondi pubblici. Aspetti che caratterizzano società che si difendono con il loro presente e non facendo riferimento a un passato che, come siciliani, non sappiamo preservare. Che la Sicilia, oltre che culla della mafia, perciò non capiamo i rimbrotti furiosi verso la catena alberghiera, sia anche la progenitrice di tante altre cose positive, in primo luogo dell´antimafia, è un fatto certo. Come tuttavia possiamo custodire, promuovere e migliorare ciò che di buono siamo stati, se il nostro presente quotidiano è fatto di tante azioni, pubbliche e private, molto più gravi della brochure incriminata? Per dirla tutta, siamo un po´ stanchi della compagnia dei difensori. La prossima volta cercheremo di non reagire al loro cliché comunicativo e li faremo cuocere nel loro brodo. Perché, in fondo, siamo pure stanchi della nostra banale risposta, anch´essa sempre uguale. Scatenata da uno stimolo protettivo che non tutela la Sicilia, ma che vuole solo nascondere il sole con un dito.

lunedì 10 agosto 2009

Per andare oltre questo cristianesimo

Repubblica Palermo
Domenica 9 Agosto
Francesco Palazzo
Recensione: Augusto Cavadi - In verità ci disse altro. Oltre i fondamentalismi cristiani (Falzea Editore, pagg. 244, euro 15)

Il libro di Cavadi inizia con una domanda: si può, insieme, credere e pensare? E una constatazione: il cristianesimo è malato. La chiesa reagisce conservando tutto o ricorrendo al revisionismo felpato. La proposta è quella di un "oltre-cristianesimo". Ma come salvare il divino? Per l’autore, l’uomo, interrogandosi sul cosmo, sente un fondamento intelligente. Il testo continua con un duplice quesito. Quanti si dicono vicini al cristianesimo e coloro che lo rifiutano, sanno di che si tratta? Bisogna accostarsi a esso con occhi nuovi. In teologia vi sono stati profondi cambiamenti. Vediamo alcuni passaggi. Gesù annunzia il regno di Dio, non una religione. La fine del mondo tarda. La chiesa si propone per dare una mano. Credere non è più una pratica di vita, ma l’accettazione di dogmi. Questa fase giunge al Concilio di Trento e alla Controriforma. Intanto c’è stato Lutero: solo la fede salva. L’illuminismo è uno spartiacque. Il cattolicesimo reagisce male, i protestanti dialogano con la modernità. Si arriva all’infallibilità papale (1870), che un papa aveva condannato come eresia. Il tempo stringe. La modernità scompare nel post-moderno. Il Concilio Vaticano II (1962-65), cerca di dare delle risposte. Il mondo cambia, l’arroccamento non serve più. Il cristiano non è più depositario di nulla. Anzi, per Cavadi, nei contenuti non apporta nulla di nuovo. E’ un laico, in cammino tra i tanti. La sua vita è solo vivificata dalla comunicazione con Cristo. Nel testo questo "post-cristianesimo" ha un volto preciso: liberazione dal superfluo, sessualità serena, ri-fidanzamento con la terra, ricerca di una globalizzazione verso una vera universalità. “Per anni - rivela Cavadi - sono stato attento a non ridurre Dio alla dimensione orizzontale. Ma la peculiarità del cristianesimo è nella concretezza del fratello, via privilegiata per aprirsi al mistero del Padre”. Un giovane teologo, nel 1963, (pag. 159), affermava: “L’amore è completamente sufficiente, non occorre altro. Il sacramento del fratello è l’unico requisito di salvezza”. Oggi quel tipo è conosciuto come Benedetto XVI. La risposta intorno al credere e al pensare, è, per Cavadi, una sfida da accettare a viso aperto. Il libro è dedicato a coloro che non hanno chiuso la partita. E vogliono tenere accese le fiammelle della fede e le possibilità della ragione.