mercoledì 23 marzo 2011

Questa non ce la beviamo

LA REPUBBLICA PALERMO
23 MARZO 2011 – Pag XIII

NUMERI

L'acqua che disperdiamo

Francesco Palazzo

Acqua potabile dispersa nelle condutture: in Sicilia 54 per cento, in Lombardia 27 per cento. Media nazionale: 47 per cento. Posizione della Sicilia nella classifica nazionale: quindicesima.

L'antifascismo facile

LiveSicilia
23 3 2011
Francesco Palazzo

“L’uomo deve essere liberato, il mercato uccide l’anima”. Parole abbastanza comuni nel vocabolario della sinistra antagonista. Così come, del resto, la critica radicale alla globalizzazione, la denuncia dello sfruttamento della forza lavoro, il pubblico salario sino all’età scolastica, la costruzione di asili nido pubblici, il diritto alla casa e al mutuo sociale. Per non parlare dell’occupazione degli spazi pubblici per l’autogestione di attività sociali o a scopo abitativo. Sono slogan e pratiche che ritroviamo anche a destra, in particolare nell’associazione CasaPound Italia, che svolge delle attività a Palermo e che oggi, presso la Mondadori, vorrebbe presentare un romanzo della Rizzoli, “Nessun dolore”, scritto da Domenico Di Tullio. Da alcuni giorni campeggiano dei manifesti, affissi abusivamente, che invitano ogni sincero democratico a schierarsi contro il fascismo che avanza. E come starebbe avanzando? Semplice. La presentazione di questo libro costituisce, secondo i ragazzi di azione antifascista, la spia del passo dell’oca che si staglia sulle nostre inconsapevoli teste. Non dobbiamo, dunque, preoccuparci più di tanto dei venti di guerra che soffiano sulla nostra regione. Per Dio, c’è qualcosa di più importante da fare. Impedire, fisicamente, l’evento odierno, perché non si può dare spazio ad organizzazioni che, secondo il manifesto di Azione Antifascista, propagandano “razzismo, sessismo e xenofobia”. Che poi dal sito di Casapound Italia non ci sia un solo inneggiamento al fascismo, al razzismo, al sessismo e alla xenofobia, è un altro discorso. Gli ideologismi non prevedono il confronto con le vere idee degli altri, ma soltanto la loro demonizzazione e deformazione. Parlando con il responsabile palermitano di Casapound, Andrea La Barbera, studente di giurisprudenza e lavoratore, apprendiamo che compra ogni giorno anche Repubblica, insieme ad altri due giornali, per informarsi meglio. Conferma che del ventennio, per quanto riguarda alcuni provvedimenti sullo stato sociale, non è tutto da buttare. Nello stesso tempo ci indica il documento Estremocentroalto, il manifesto di Casapound. Che invita ad andare oltre la destra e la sinistra novecentesche per trovare risposte ai problemi di oggi. Ma di cosa parla, poi, il romanzo? Di adunate militari? Di persecuzioni razziste? No. Si tratta della storia di amicizia tra due ragazzi, Fulvio e Giorgio, provenienti da due ceti sociali diversi. Si conoscono e imparano a vivere insieme l’affetto e l’importanza della politica sullo sfondo dell’azione sociale e del movimento universitario della destra. Un libro bello, brutto? Ognuno giudicherà leggendolo, oppure disinteressandosene. Sia della presentazione che dell’opera. Come, del resto, facciamo con tanti appuntamenti che si svolgono giornalmente a Palermo. Per questi giovani di sinistra, ma chissà da quanto tempo non lo sono più, né giovani, né di sinistra, non solo dobbiamo mettere alla berlina chi ha scritto il testo e chi ha organizzato l’incontro, ma anche gli agenti della polizia, che da giorni stazionano davanti la libreria, chiamati “cani da guardia”. E qui non dobbiamo inventarci niente. Ci viene in aiuto il grande Pasolini, che stava dalla parte degli agenti, figli dei poveri, contro i picchiatori, di ogni specie e di ogni età, fascisti nel sangue, figli dei ricchi. Un’ultima notazione sul pericolo del fascismo cui vogliono metterci in guardia i nostri antifascisti. Sono così sicuri che se un qualsiasi totalitarismo tornasse sarebbero in grado di combatterlo, rischiando o perdendo la vita, come fecero i loro bisnonni? Ne dubitiamo fortemente. Già li vediamo scappare a gambe levate.

domenica 20 marzo 2011

Per un cattolicesimo maturo

LiveSicilia

di Francesco Palazzo
domenica 20 marzo 2011


Non saranno più i tempi di Peppone e Don Camillo, tuttavia le contrapposizioni tra altare e politica talvolta non sono meno forti di allora. Prendete, ad esempio, quanto accaduto recentemente a Casteldaccia, una piccola cittadina a un tiro di schioppo da Palermo. Un parroco, con una lettera e un’omelia, si rivolge ai fedeli mettendo sul banco degli accusati la sinistra. Rea di incolpare ipocritamente e odiare il presidente del consiglio per il suo stile di vita. Berlusconi, se è come sembra, dovrà rendere conto a Dio, dice e scrive. Ma anche loro, gli uomini della sinistra, sostiene il prelato, sfileranno dal santissimo tribunale e il loro fardello sarà molto pesante. Sono i farisei di cui parlano i vangeli. Il motivo? Da quando avevano i calzoni corti, rivendicano “certe conquiste sociali”: divorzio, aborto, sesso libero, convivenza, preservativo, pillola del giorno prima e del giorno dopo, orgoglio omosessuale e via elencando. Non solo. Gli uomini della sinistra hanno fatto di tutto per sfasciare le famiglie e ora pretendono pure di fare la morale. Per non parlare, poi, di quelle donne sconvolte dal caso Ruby, che scendono in piazza a difendere la loro dignità e poi mandano in giro le figlie mezze nude. Prima, rileva il presbitero, si rimproverava alla chiesa di parlare troppo dei peccati sessuali, ora di parlarne troppo poco. Non si è fatta attendere, a stretto giro di posta, la replica. Con una lettera indirizzata al religioso, firmata da donne e uomini di sinistra, alcuni vicini al PD, poi distribuita e fatta sottoscrivere nella piazza principale e in giro per il paese, si ricorda che l’omelia ha lo scopo di attualizzare la parola di Dio. Non quello di accusare qualcuno, prendendo la parte di uno schieramento politico e screditando l’altro. Notazione non secondaria. I replicanti utilizzano un linguaggio tale da far trasparire la loro evidente e chiara appartenenza cattolica. Ciò non impedisce agli stessi di ricordare che alcune scelte legislative del passato (aborto e divorzio) sono state espressione non di una sola parte politica, ma di un’ampia volontà popolare e vanno comprese e inserite all’interno della laicità dello stato. La missiva contiene un elenco, forse un po’ troppo di maniera, di ciò che significa essere di sinistra: guardare il mondo con gli occhi degli altri, l’importanza del lavoro, la salute che deve essere garantita a tutti, la condizione della donna come misura della civiltà di un paese, la pace nel mondo e il combattere l’aggressività che alberga dentro di noi, la scuola. Se si vuole parlare di certi temi, continuano, si può convocare un’assemblea parrocchiale e incrociare i diversi punti di vista. Cosa che l’omelia non consente di fare, essendo una comunicazione unidirezionale tra il singolo che parla e coloro che sono soltanto tenuti ad ascoltare. Finita la celebrazione, tutto torna come prima. In genere, i fedeli se le tengono tutte per poi lamentarsi in privato, famiglia, cerchia di amici o ufficio che sia. Questa volta è andata diversamente, non ci si è limitati al chiacchiericcio a bassa voce, si è voluto dare alla vicenda una dimensione pubblica, politica. Della storia si è occupata pure la prestigiosa rivista romana Adista, che è un’antenna molto attenta di quanto accade di significativo nel mondo cattolico. Pensiamo che i parroci, come tutti, abbiano diritto a dire liberamente quello che pensano. Ciò che non va bene è che, comunemente, si trovino di fronte persone, anche con elevati titoli di studio e ruoli sociali non di secondo piano, intimidite dall’autorità religiosa che rappresentano e perciò mute e sorde a qualsiasi parola provenga dai pulpiti. E’ invece un comportamento maturo, e un buon segno, quando, come in questo caso, chi dissente argomenti con puntiglio e rispetto le proprie ragioni. Chi ascolta e legge ha modo di farsi un’opinione e giudicare. Ci guadagniamo così un po’ tutti, chierici e laici. Peccato che situazioni simili, almeno nel panorama siciliano, siano così rare, per non dire uniche.



mercoledì 9 marzo 2011

Numeri - Libri letti e posseduti in Sicilia

Repubblica Palermo
9 3 2011
Pag. XIII
Numeri
Quanto leggono i siciliani
Francesco Palazzo

Famiglie che non hanno neanche un libro in casa: in Sicilia 20,2 per cento, in Trentino Alto Adige 2,8 per cento. Cittadini che hanno letto almeno un libro in un anno: in Sicilia 31,5 per cento, in Trentino Alto Adige 60 per cento. Posizione della Sicilia nella classifica nazionale: ultima.

martedì 8 marzo 2011

ARS, legge elettorale e democrazia a corpo libero

8 3 2011

   Francesco Palazzo


La riforma della legge elettorale riguardante gli enti locali siciliani sta diventando, per la maggioranza che sostiene Lombardo, in particolare per una parte del Partito Democratico, che ormai la declina come un atto di fede, e per la minoranza che si oppone sino all’ultimo sangue, in special modo il Popolo delle Libertà, la madre di tutte le battaglie. La scrittura della regole comuni, e una legge elettorale è la massima norma che accomuna tutti, dovrebbe essere, al mio paese, non so al vostro, un percorso condiviso, concordato. Verso cui incamminarsi con calma, senza le elezioni alle porte. Ciò vale sia per chi ha perso le elezioni, sia per chi le ha vinte. Mi pare che, a occhio e croce, eravamo fermi a questo punto. Soprattutto se chi è uscito sconfitto dalle urne a un certo punto ha pensato bene, non sapendo né leggere né scrivere, di impugnare la bandiera della vittoria senza il bollo sacro del corpo elettorale. Che è ormai evidentemente fuori moda, un rudere del passato massimalista. Così abbiamo imparato, alla nostra veneranda età, un nuovo comandamento da scolpire nelle tavole della legge che guidano la politica. L’undicesimo. Non solo si può fare di tutto vincendo le competizioni elettorali, ma si può fare ancora di più pure perdendole e di brutto. E questa è sorpresa, soleva dire candidamente la mamma di un mio fraterno amico. Insomma, senza tanti giri di parole e chiacchiere a vuoto, la domanda è la seguente. Se Berlusconi avesse perso le elezioni nel 2008, e invece le ha vinte alla grande, come è accaduto al Pd in Sicilia nello stesso anno, che è stato umiliato con un 7 a 0 di guidoliniana memoria, e fosse poi passato in maggioranza senza ricorrere al voto popolare, come ha fatto e continua a fare allegramente il Pd in Sicilia, e poi pretendesse, contro il maggior partito dell’ex maggioranza, cacciato all’opposizione, di modificare a tutti i costi la legge elettorale, ed è quanto intende fare il Pd in Sicilia contro il Pdl inferocito, che per il momento è riuscito a stopparla all’Ars, staremmo zitti o grideremmo alla mortificazione della democrazia, delle sue regole e della stessa carta costituzionale? Mizzica se lo faremmo, non ci dormiremmo la notte, pure in piazza andremmo. La domanda è lunga, mi rendo conto e chiedo scusa, ma il quesito in fondo è semplice e la risposta deve essere necessariamente breve. Anzi, lapidaria. Un si o un no. Non sono ammessi i forse o i ni. I non sapevo, non c’ero e se c’ero dormivo. Perché, capite, non è che si può gridare “al lupo, al lupo”, se è il presidente del consiglio ad assumere un comportamento biasimevole, che peraltro in questo caso è solo meramente ipotetico, e poi stare allineati e coperti quando lo stesso identico modo di fare, non solo in via teorica ma concretamente, viene assunto dalla maggiore forza del centrosinistra, che si dice pure riformista, peraltro maneggiando con le scarpe chiodate uno strumento delicatissimo quale è la legge elettorale. Io me la sono pensata e ne ho tratto giudizio. La prossima volta che i riformisti a ventiquattro carati del Pd, quelli siciliani intendo, grideranno al rispetto tradito delle regole e alla democrazia in pericolo di fronte al berlusconismo imperante e magari mi richiederanno una bella e solenne firma per mandarlo a casa, partirà una sonora pernacchia. La mia.


venerdì 4 marzo 2011

Leggi applicate e leggi interpretate

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
4 marzo 2011 - Pag. 2
I due volti dell'immigrazione
Francesco Palazzo

E' utile tornare a riflettere, al di là del puro dato di cronaca, sul giovane marocchino morto a Palermo dopo essersi dato fuoco. Quello che è accaduto dopo, ossia l’incendio di un auto dei vigili urbani, fa parte di un altro piano, che pure va approfondito perché gravissimo è il gesto. Sperando che non si dia a due fatti, forse legati, forse no, lo stesso peso. Un essere umano che brucia è una tragedia, un mezzo mobile che divampa è un’altra questione. In ogni caso, il nostro fotogramma va fermato nel momento in cui un ragazzo è diventato una torcia umana. Perché l’immigrazione in Sicilia può presentare volti differenti, che a volte possono decidere la vita e la morte. La liberazione e l’annientamento. Primo quadro. La cronaca è arcinota. Una giovane marocchina, abitante da tempo in Sicilia, finisce come per incanto alla corte dei miracoli del lusso più sfrenato ed eccessivo. Le capita, anche, di imbattersi in una strana e incredibile situazione. Almeno per i comuni mortali. Viene fermata per un furto e liberata alla velocità della luce da una questura. Si badi bene, del nord, non dell’inefficiente e disordinato sud. Secondo quadro. Un giovane marocchino, sempre residente nella nostra regione, non cerca il mondo dei lustrini e i soldi facili per farsi avanti nella vita. No, vuole lavorare per sfamare la sua famiglia. E non lo fa abusivamente, nell’illegalità, come tanti palermitani e siciliani. Si procura una licenza da venditore ambulante. Tuttavia, pur non avendo commesso alcun reato, da fuoco alla propria carne per un motivo, in fondo, banale. Non deambula come dovrebbe, sta molto tempo nello stesso posto. E, per questo, si merita, pensate un po’, due controlli in pochi giorni, nella città dove si perpetrano quotidianamente e impunemente ogni tipo di abusi. Il ragazzo va al rogo per un verbale. Può essere stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso, può essere quello che volete, ma è andata così. Vi sembra pesante parlare di rogo? E come volete chiamarla la fine atroce del giovane in una delle arterie più frequentate del capoluogo, dunque di fronte a tanta gente che ha assistito alla scena? Torniamo al parallelismo. Sui destini, così diversi, di un ragazzo e di una ragazza, si può aggiungere una notazione riguardante il potere. Che ben conosciamo e che unisce, in questo caso e chissà in quanti altri, il nord e il sud del paese. Arbitrariamente, il potere da e il potere toglie. Sapete come si dice. Per gli amici, o le amiche, le leggi si interpretano sino all’inverosimile e anche contro le stesse leggi, prima o poi il buco della salvezza si trova. Per gli altri no, si applicano senza sconti. Messa così, capite bene, dal paradiso all’inferno la strada è breve. Dipende se hai il potente al tuo fianco, se sei riuscito a toccare il suo mantello, oppure se hai soltanto la tua disperazione a farti compagnia. Il massimo di elasticità e il massimo di inflessibilità. C’è, infine, un atteggiamento da notare rispetto ai contesti nei quali si sono sviluppate le due vicende. Per la ragazza, dalle persone a lei più vicine, è scattato un sistema di coperture tale da proiettarla verso il mondo dei rotocalchi. Per il giovane Noureddine, invece, sono scattate le segnalazioni dei commercianti, i quali vedevano nella staticità del marocchino un pericolo per i propri affari. Tanto da denunciare alle autorità competenti, a quanto pare ripetutamente, la sua presenza ingombrante sul marciapiede. Giusto richiedere protezione. Dovrebbe valere sempre. Domanda. Come si comportano gli esercenti della zona quando si presentano gli uomini delle cosche a chiedere la rata del pizzo? Chiamano le forze dell’ordine o pagano? Deboli con i forti e forti con i deboli?