domenica 27 febbraio 2011

PD, di lotta, ma anche di governo.

LiveSicilia - Quotidiano Online
27 2 2011
Il Pd vuole il quinto governo, ma stavolta è Lombardo che frena

di Francesco Palazzo

La politica regionale danza sui veti incrociati. Il governo di tutti, proposto dal presidente dell’Ars, trova un orecchio attento a Palazzo D’Orleans, ma riceve un veto deciso dai democratici. Possiamo comprenderli. Che senso avrebbe la loro presenza in maggioranza se gli alleati di un tempo tornassero sotto lo stesso tetto? Ma il Pd sgancia un no e ne riceve uno, pesante, a sua volta. Il quinto governo, che dovrebbe comprendere assessori più legati ai partiti, è, chiaramente, in casa democratica, il compimento di un percorso. Dal cappotto delle regionali del 2008, con un misero 28,6 per cento come voto di coalizione, alle stanze di comando degli assessorati. Ma qui è il governatore a dire che non si può fare. Non ora. Non subito. Motivo: il governo tecnico rappresenta tutti (anche i siciliani?) e chiunque può trovare in esso soddisfazione. E qui il Pd non la prende bene. Ratificando, sostanzialmente, il fallimento della giunta in carica. Che non riuscirebbe, stando alle dichiarazioni dei leader del Pd, a dare le risposte che la Sicilia si attende. E’ da mesi che gli esponenti democratici parlano di cambio di passo, di scossa, di azione riformatrice in panne. Nei giorni pari. Perché in quelli dispari, al contrario, sciorinano una serie di riforme che già starebbero cambiando la Sicilia. A nostra totale insaputa.Verrebbe da dire loro: mettetevi d’accordo. O questa è un’esperienza politica che ha messo alle nostre spalle anni di clientelismo e mala gestione dei fondi pubblici, oppure siamo ancora all’alba e c’è bisogno di molto altro, quasi di tutto. Così, per darci qualche riferimento certo, un punto di caduta intorno al quale ragionare. Altrimenti viene la confusione. Ma come, il governo in carica, che ha pochi mesi di vita, è stato presentato, soprattutto dal Pd, come un esecutivo di alta qualità, e dopo pochi giri d’orologio se ne chiede la sostituzione per manifesta incapacità? E sono proprio i democratici, nei giorni in cui vestono la divisa del governo, a ricordarci che è davvero un tempo troppo stretto per valutare una compagine assessoriale.Che sarebbe nel mirino di un attacco mediatico senza uguali. Solo che, il giorno successivo, indossati i panni dell’opposizione, pare che i democratici si scordino quello che avevano detto appena il giorno prima, ossia che questo è un governo ai primi vagiti, e vogliono ucciderlo in culla, richiedendo con veemenza l’ingresso in giunta dei titolari con le tessere di partito. Che si scaldano, e da tempo, ai bordi del campo. Comprendiamo l’impellenza. Un quinto governo, con dentro le luccicanti insegne democratiche, siamo uomini e donne di mondo, sarebbe un balsamo nel dibattito interno al partito. E’ probabile, infatti, ma potremmo anche esprimerci in termini di certezza, che gli scontri tra le varie correnti dentro il Pd, pro e contro Lombardo, si attenuerebbero di molto, sino a scomparire magicamente, se la carne al fuoco diventasse più consistente e appetibile. E non è difficile che ci si arrivi. I no, o i ni, in politica, come del resto i sì o i forse, durano meno dello yogurt in frigo. Ciò che oggi è solo motivo di speranza per i democratici e punto critico per il presidente della regione, domani potrebbe trasformarsi in quel matrimonio in pompa magna a cui tutti i fidanzati arrivano. Beninteso, se non si lasciano prima. Con restituzione di regali, liti tra parenti, contumelie varie e quant’altro. Vedremo se saranno fiori d’arancio, ed è l’ipotesi più gettonata, se proseguiremo, sino alla noia, col Pd di lotta e di governo, o se, improvvisamente, vedremo le foto strappate di un innamoramento che non diventò mai amore.

venerdì 25 febbraio 2011

"Dico cattolici per modo di dire...."

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
N. 8 del 25 Febbraio 2011
Pag. 2
Ma che c'entrano i catttolici
Francesco Palazzo

“Dico cattolici per modo di dire, mai conosciuto in vita mia qui un cattolico vero, e sto per compiere novantadue anni. C'è gente che in vita sua ha mangiato magari una mezza salma di grano maiorchino fatto a ostie, ed è sempre pronta a mettere le mani nelle tasche degli altri, a tirare un calcio nella faccia di un moribondo, e un colpo a lupara alle reni di uno in buona salute”. Cosi, il professore Roscio, nel romanzo A ciascuno il suo di Sciascia, parlando dei siciliani. Mi veniva in mente questo passaggio mentre leggevo del dibattito che si sta sviluppando, oltre che sul simbolo pagano presente nella bandiera siciliana, la triscele, sulle unioni civili. Ma cosa c'entrano il cattolicesimo e il cristianesimo, che non sono affatto sinonimi, con il riconoscimento di alcuni diritti alle coppie di fatto, omo o eterosessuali? Nulla, ovviamente. Anzi, come dimostrato dall'appello di don Cosimo Scordato, prete nel quartiere Albergheria del capoluogo, il quale sostiene che "gli omosessuali sono persone normali, non errori di natura o dei malati, hanno tutto il diritto di amare e di essere amate e di formare delle famiglie", il professare un credo religioso dovrebbe essere soltanto un buon punto di partenza verso un'umanità più matura e includente. Non un intralcio. Vediamo, invece, che sul disegno di legge presentato all'ARS sulle coppie di fatto, omo o etero, molti obiettano, dentro e fuori il parlamento siciliano, che l'essere cattolici impedirà loro di votare o condividere questo provvedimento legislativo. Quindi, una fede non impedisce affatto di alimentare il clientelismo, la corruzione, i rapporti con le cosche mafiose, l'occupazione sistematica dei posti di potere, lo sperpero di risorse pubbliche, ma è un baluardo, una montagna, quando si tratta di riconoscere diritti fondamentali. Un altro parroco della chiesa palermitana, don Francesco Romano, dice a chiare lettere che, nel caso in questione, l'assemblea regionale siciliana non deve legiferare in nome della chiesa ma in nome del popolo sovrano. Ci vuole un prete per ricordare le basi dello stato liberale. Si badi bene, Scordato e Romano sono due mosche bianche nel presbiterio siciliano. L'appello di Scordato è stato accolto con malcelato fastidio da alcuni prelati, che almeno hanno detto pubblicamente come la pensano, per il resto un gelido silenzio. Sulla sortita di Padre Romano, è calata più pesante la cortina d'indifferenza all'interno del mondo cattolico. Sarebbe interessante, su entrambe le questioni, diritti per gli omosessuali e per le coppie di fatto, sapere cosa ne pensa il primate di Sicilia, il cardinale di Palermo Paolo Romeo e, con lui, tutta la conferenza episcopale siciliana. Perché, vedete, è semplice rimbrottare in continuazione le istituzioni pubbliche, comuni, province e regione, affinché facciano sino in fondo il loro dovere verso gli esclusi e nei confronti di tutta la collettività. E' come sfondare una porta aperta. Si tratta di politica estera a buon mercato. Quella che importa è la politica interna. Sin quando si parla degli altri e agli altri è facile esercitare il ruolo di guida morale. Ma il punto è che se poi non si è coerenti nella politica interna, nel governo del proprio campo d'azione, tutte le rampogne e le critiche verso l'esterno rischiano di trasformarsi, bene che vada, in puro distillato di inutile retorica. Lo sappiamo. Ci sono modi diversi di vivere la fede cattolica. Sia tra i politici praticanti, sia tra gli stessi chierici e il popolo dei fedeli. Così come vi sono differenti modalità nell'interpretare la laicità dentro le istituzioni, nei partiti, nella società e all'interno della stessa chiesa. Diciamolo, però, chiaramente. Pure se fossero pochi i cattolici che sostengono certe posizioni oltranziste, e non sono affatto una minoranza, utilizzare l'appartenenza confessionale al fine di negare diritti basilari, consistenti, nel caso specifico, nell'occuparsi del compagno/a nella malattia, oppure di poter disporre di un contratto di locazione o chiedere un alloggio popolare, prima che un controsenso evangelico, è quanto di più inumano possa esistere. Perché per il cattolico e la sua chiesa, come sottolinea Scordato, che difficilmente vedremo arcivescovo di Palermo, dovrebbe contare “la capacità di amare della persona che, in quanto tale, deve essere rispettata e riconosciuta nella propria dignità umana”.

domenica 20 febbraio 2011

Due volti dell'immigrazione

LiveSicilia

di Francesco Palazzo

domenica 20 febbraio 2011

 Una giovane marocchina, abitante in Sicilia, può finire miracolosamente alla corte del lusso più sfrenato. Può anche capitarle di venire liberata alla velocità della luce da una questura dopo essere stata fermata per un furto. Un  giovane marocchino, abitante in Sicilia, pur non avendo commesso alcun reato, essendo anzi in regola con la licenza di venditore ambulante, va al rogo. Boccette pregiate di profumo date in mano con troppa facilità alla prima, una volgare bottiglia di plastica piena di benzina per il secondo. Che nessuno ha potuto, o forse voluto, come dicono i parenti, togliergli dalle mani. Il potere dà e il potere toglie. Niente di più, niente di meno. Non ha importanza se hai rispettato le leggi o se sei un delinquente. Sapete come si dice. Per gli amici, o le amiche, le leggi si interpretano, per i nemici si applicano senza sconti. Poi i processi e le indagini ci diranno delle responsabilità dei singoli. Intanto, sui due giovani, sul loro destino diverso e parallelo, questo possiamo dire. E lo diciamo.

sabato 12 febbraio 2011

PD, referendum a salve

LA REPUBBLICA PALERMO - SABATO 12 FEBBRAIO 2011
Pagina XIII
QUEL REFERENDUM SENZA REGOLAMENTO
FRANCESCO PALAZZO

Lo statuto del PD, approvato il 29 febbraio 2009, parla chiaro. Il referendum è il coinvolgimento della base su "argomenti e scelte politiche di essenziale importanza per l´azione del partito". E cosa c´è di più importante dell´entrata in maggioranza alla Regione dopo che gli elettori hanno sonoramente bocciato il Pd, nel 2008, e dopo che le primarie democratiche, nel 2009, hanno attribuito un largo 70 per cento ai due candidati che si opponevano a qualsiasi collaborazione con il governatore Lombardo? Dalla segreteria regionale del partito dicono che questo referendum non s´ha da fare perché non è stato emanato il regolamento che lo disciplina, previsto dallo stesso statuto. Ma è mai possibile che a due anni dall´approvazione della carta fondamentale del partito, questo regolamento non sia stato ancora votato dall´assemblea regionale dei delegati? Visto che accade, è possibile. Insomma, secondo i suoi dirigenti lo statuto del Pd prevede sì il referendum, ma per finta. Dalle stanze di comando del partito giunge questo messaggio: cari iscritti, vi diamo uno strumento per partecipare alle decisioni del partito e indirizzarne le politiche, ma poiché ci siamo dimenticati di scrivere e approvare il regolamento, non se ne fa niente. Vi sarebbero, poi, due ragioni politiche opposte al referendum. La prima. Si criticano coloro che stanno raccogliendo le firme perché starebbero strumentalizzando la base del partito. Una base di cui, evidentemente, non si ha una grande stima. Secondo argomento: i soggetti che stanno raccogliendo le firme non hanno un´idea comune sul dopo. C´è chi vuole gli assessori politici in giunta, in un eventuale quinto governo, e c´è chi vuole le elezioni anticipate. Può anche essere che sia così. Ma questo inficia il tentativo di proporre il referendum? Al comma 3, dell´articolo 36 dello Statuto, è scritto a chiare lettere quali sono i tre elementi da indicare nell´indizione del referendum. La specifica formulazione del quesito. Chiedere se i votanti intendono, si o no, continuare a sostenere la maggioranza che sorregge Lombardo, è un quesito abbastanza specifico e chiaro. Secondo elemento da indicare è la natura consultiva o deliberativa della consultazione. Sembra che si voglia andare verso un conta deliberativa, ossia vincolante per tutto il partito. Terzo elemento, occorre indicare se a votare debbano essere solo gli iscritti o anche gli esterni. Se abbiamo capito bene, si vorrebbero chiamare al voto solo gli iscritti. Ci pare, dunque, che esistano i presupposti, anche formali, a prescindere da qualsiasi regolamento, la cui assenza è da addebitare a chi in questo momento dirige il partito e non agli iscritti, per indire il referendum. Se i tesserati del PD, come sostengono dalla segreteria regionale, sono in stragrande maggioranza concordi con le scelte del partito dell´ultimo anno, e quindi hanno clamorosamente cambiato idea rispetto alle primarie del 2009, hanno la possibilità di dimostrarlo inserendo nelle urne referendarie le loro schede. O no?

Numeri

LA REPUBBLICA PALERMO - VENERDÌ 11 FEBBRAIO 2011
Pagina XV
Rubrica Numeri
NOI E LO STATO
FRANCESCO PALAZZO
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In Sicilia la spesa pubblica per ogni cittadino è di 4767 euro. Nel Veneto è di 2414. La media nazionale è di 3736. Nella classifica della spesa pubblica pro-capite la Sicilia è al settimo posto.

Numeri

LA REPUBBLICA PALERMO – MERCOLEDÌ 09 FEBBRAIO 2011
Pagina XIX
Rubrica Numeri
CONSULENTI
FRANCESCO PALAZZO
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Consulenze affidate nel 2010 dalla Regione Siciliana: 167. Spesa: 2 milioni 728 mila euro. Consulenze affidate dalla Regione Lombardia: 32. Spesa: 510 mila euro.

Numeri

LA REPUBBLICA – VENERDÌ 28 GENNAIO 2011
Pagina XVIII
Rubrica Numeri
IN SICILIA LA VITA È PIÙ BREVE
FRANCESCO PALAZZO
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Secondo i dati Istat 2010, al Sud la vita è più breve che nel resto d´Italia. In Sicilia l´uomo vive in media 78,6 anni, la donna 83,5. La media italiana è 79,1 anni per gli uomini, 84,3 per le donne.

venerdì 4 febbraio 2011

Sicilia: leggi elettorali e politica

CENTONOVE
Settimanale di Politica, Cultura, Economia
N. 5 del 4 Febbraio 2011
Pag. 2
PD, la legge elettorale non ti aiuterà
Francesco Palazzo

Sulla legge elettorale riguardante gli enti locali, che sta per essere calendarizzata all'ARS, vanno fatte alcune riflessioni. Una, intanto, di carattere generale. Il disegno di legge, che ha superato lo scoglio della commissione affari istituzionali del parlamento siciliano, è espressione solo dell'attuale maggioranza (PD, MPA, FLI, UDC, API), mentre l'opposizione, che prima era maggioranza, (in Sicilia non ci facciamo mancare niente) ha detto che in aula sarà battaglia, anzi ha parlato addirittura di golpe. Le leggi elettorali riguardando tutto il corpo elettorale, andrebbero approvate in maniera condivisa. Non a colpi di maggioranza. Soprattutto se chi vuole fortemente questa legge, il PD, all'inizio della legislatura era stato inchiodato dagli elettori, e in maniera severa, nei banchi dell'opposizione. Sin qui siamo alla forma, che in politica, come sappiamo, è sostanza. Veniamo, invece, ai contenuti della legge. Il faro che la ispira è costituito dal fatto che si vuole dare all'elettore la possibilità di scegliere meglio sindaci e presidenti di provincia. Sempre in un'unica scheda il corpo elettorale avrà l'obbligo, se vuole, di esprimere due preferenze, una per il candidato consigliere, comunale o provinciale, e una per il candidato sindaco o presidente di provincia. Terminerà, perciò, l'effetto trascinamento, per il quale, dal 1997, basta votare un consigliere e non esprimere alcuna preferenza per il sindaco o il presidente della provincia, che il voto va automaticamente all'aspirante alla poltrona più alta legato alla coalizione di apparteneva del candidato consigliere. Il PD sa che il centrosinistra ha una lunga storia di liste molto deboli, perciò non trainanti, mentre i candidati che presenta per le poltrone di primo cittadino o presidente di provincia hanno quasi sempre avuto un gradimento molto più consistente dei contendenti del centrodestra. Spera, in tal modo, di riequilibrare le proprie sorti negli enti locali. E già questo aspetto, dichiarato espressamente in casa PD, fa sorgere un punto di domanda. Questa nuova legge elettorale intende dare un'arma di scelta in più all'elettore, oppure sono presenti ragioni di parte? Pare che ci siano entrambi gli aspetti. Ma una norma elettorale non dovrebbe mai contenere un'attesa di cambiamento politico riguardante una delle parti in causa. Perché una cosa è la politica che un partito mette legittimamente in campo, un'altra è volere piegare la politica verso se stessi costruendo una norma che miri a colmare le lacune di uno schieramento. Ma è poi vero che la scheda unica con il voto che si trasferisce automaticamente ai candidati sindaci o presidenti di provincia ha sempre penalizzato il centrosinistra? Vediamo quanto è accaduto a Palermo e Catania in due elezioni differenti, nel novembre del 1993 e nel novembre del 1997, tendendo presente che la corrente legge elettorale è stata approvata nel settembre del 1997. Ebbene, sia Orlando, a Palermo, che Bianco, a Catania, vinsero, non solo loro ma con le liste che li sostenevano, nel 1993 e nel 1997, con due leggi elettorali differenti. Nel 1993 c'era la doppia scheda per sindaco e consigliere, nel 1997 la scheda unica con l'effetto trascinamento. Perché ciò è accaduto? La spiegazione è semplice. Nel 1997 fu premiato quanto era stato fatto nel mandato precedente, anche se era cambiata la legge elettorale. Gli elettori non sono affatto degli stupidi sprovveduti, sanno molto bene quello che fanno. E perché negli ultimi dieci anni Catania e Palermo sono state consegnate al centrodestra? Colpa della legge elettorale? Non prendiamoci in giro. E' successo che quella stagione virtuosa dei due sindaci, dal 1997 in poi si perse per strada, apparecchiando la tavola alla sbafata a quattro ganasce ai berlusconiani e compagni di cordata. Qualcuno potrebbe obiettare che quella, elettoralmente, è una stagione ormai alle nostre spalle. Che non sia così ce lo mostra l'oggi. Osserviamo, per fare un solo esempio, quanto accaduto a Gela nelle elezioni del 2010, svoltesi neanche nove mesi addietro. Al ballottaggio sono arrivati due candidati del Partito Democratico. Andate a vedere i voti delle liste che li appoggiavano. Vi renderete conto che la vittoria è stata, pur in presenza della scheda unica e dell'effetto trascinamento, che teoricamente favorirebbe il centrodestra, sia delle liste che dei due candidati. Ciò sta a significare che laddove il centrosinistra è credibile, vedi le sindacature di Crocetta nel comune gelese dal 2003 al 2009, il corpo elettorale lo premia a prescindere dalla procedura di voto. Sia chiaro, è giusto fornire all'elettore una più ampia e precisa possibilità di esprimersi alle urne. Ma il PD si ricordi che l'azione politica è una cosa, ed è questa che genera le vittorie o le sconfitte, le norme elettorali un'altra. Confondere i due momenti non è un buon segno.