lunedì 27 maggio 2013

Don Puglisi: niente pienone per un martire antimafia. Perchè?

LiveSicilia
26 maggio 2013

Per il beato antimafia la folla resta a casa
Francesco Palazzo
 
http://livesicilia.it/2013/05/26/per-il-beato-antimafia-la-folla-resta-a-casa_322600/
 

“Le più belle calamite”, grida un venditore alla fine del rito di beatificazione. Con un euro puoi appiccarti dove vuoi l'immagine del prete di Brancaccio. Ma quanto rimarrà addosso alla chiesa palermitana e siciliana dell'azione di don Pino? Nella pur vibrante omelia, pronunciata dal cardinale di Palermo, nessuna traccia di un piano pastorale organico da proporre alla chiede di Sicilia. C'era tutto il tempo per pensarlo ed annunciarlo alla folla che ha assistito all'evento, ai prelati di ogni ordine e grado e ai milioni che seguivano in televisione. Folla sino ad un certo punto. Non ci sono stati i centomila annunciati. Nemmeno gli ottantamila di cui parlano alcuni organi d'informazione. Il deflusso, a fine cerimonia, si è completato in non più di dieci minuti. Alcune foto scattate dall'alto ci consegnano una presenza di non più di sessantamila persone.

E non è solo un fatto di audience, per dire la manifestazione è riuscita o no. Sarebbe banale, non era un comizio. Un beato antimafia entra in ogni caso dritto nelle pagine della grande storia. Ma non si può che fare un paragone con i 250 mila che nell'ottobre 2010 tributarono onori a Benedetto XVI, il papa del gran rifiuto, nella stessa spianata, tra l'erba e il mare. Dove sono gli altri 190 mila? Ed anche se vi fossero state centomila presenze, come pur leggo da qualche articolista in rete, evidentemente rimasto legato al palo delle previsioni della vigilia, sarebbe rimasto da chiedersi sugli altri 150 mila rimasti a casa. Insomma, a mio parere, il fatto che c'era di mezzo non un semplice giubilo da tributare ad un santo qualsiasi, ma un riconoscimento a un martire per mano di mafia, ha fatto smuovere direttamente soltanto una minoranza dei milioni di cattolici che si contano nell'isola.

Non è un fatto da trascurare ed è quello che c'era da aspettarsi. Anche tra i presenti, non appena chiedevi cosa può fare da domani di concreto la chiesa contro la mafia, molti come prima reazione si giravano dall'altra parte. A una ventina di persone, rappresentanti di realtà regionali e parrocchiali diverse, ho fatto la stessa domanda. Sapete dirmi una cosa anche piccola contro la criminalità organizzata che voi domani potete mettere in campo nella vostra realtà? Ebbene, da Brancaccio allo Sperone, da Patti a Favara, da Porticello a Godrano, da Marineo a Ciaculli, per fare solo alcuni esempi, non ho ascoltato nessuna risposta puntuale. Sì, ora Puglisi si trova tra Crisostomo e Cosma e Damiano, tra Barnaba e Marcellino, tra Cecilia e Anastasia. Ma, va detto, ad oggi non è linfa che scorre fluida nella chiesa di Sicilia. Forse lo sarà domani o dopodomani. Ma sino a quando i cattolici, attraverso le migliaia di luoghi di culto disseminati capillarmente sul territorio, non decideranno di entrare veramente in campo contro Cosa nostra, Puglisi rimarrà più o meno un santino.

Questo rischio, che era quello più pernicioso, da evitare, non è stato scongiurato del tutto nel prato del Foro Italico. Quello che, se vogliamo tagliare con l'accetta parole e gesti, esce fuori da questo 25 maggio 2013, è che lui è lì e al resto dei prelati e dei fedeli non rimane che affidarsi alla sua intercessione. Beato Puglisi Martire, prega per noi, è stato gridato dall'altare. Ed è come stabilire una distanza siderale tra il quaggiù ed il lassù. Senza contare che ci si è stranamente scordati, nell'elenco delle altre vittime di mafia che pur si è fatto dall'altare, l'altro prete caduto, in Campania, per mano di camorra, nel marzo del 1994, ossia Don Peppe Diana. C'è anche da dire che i mezzi d'informazione nazionali non colgono quanto avvenuto a Palermo. Se ieri visitavate i siti dei tre maggiori riferimenti informativi italiani, la notizia della beatificazione stava al nono, al decimo e al dodicesimo posto. Dopo lo sport, l'Iva e Cannes.

Per finire, l'auspicio è che la chiesa siciliana torni a Puglisi non per alzare gli occhi al cielo ma per comprendere, qui ed ora, come deve posizionarsi con un piano preciso e condiviso contro la mafia e contro la politica che la foraggia. E tornare a Puglisi significa anche riscoprire la sua umiltà e la sua allergia alle cariche e alle onorificenze. Ieri ho sentito che più di un prelato è stato chiamato con il termine di eccellenza. Ecco, Don Pino, oggi beato, quando qualcuno voleva per scherzo affibbiargli un titolo di questo tipo, così rispondeva. “Monsignore a to patri”.

venerdì 24 maggio 2013

Don Puglisi: la grande chiesa e il piccolo centro.


La Repubblica - Palermo
Giovedì 23 Maggio
Pag. I

Le cose da costruire nel nome di don Puglisi
Francesco Palazzo
 
Dopo la manifestazione di massa, con le centomila persone previste per la beatificazione, ci sarà pure l'imponente chiesa da costruire a Brancaccio nel nome di don Puglisi. Certo, il progetto era stato pensato da don Pino, intorno ad essa doveva pure sorgere un centro aggregativo peri giovani e per tutto il quartiere. pare che così sarà. Ma va anche sottolineato che per lui erano più importanti le piccole cose. Somiglianti alla pietra evangelica scartata diventata pietra d' angolo, di cui ci parla il vangelo di Matteo. Come quei due piani quasi cadenti di fronte la chiesa di San Gaetano. Nessuno ci avrebbe scommesso una lira, lui li pagò quasi trecento milioni di lire. Via Brancaccio, 461. Quel numero civico corrisponde all' ingresso del Centro Padre Nostro inaugurato dal parroco il 29 gennaio del 1993 di fronte la parrocchia. Non era una vicinanza soltanto logistica. Il centro doveva essere, rigorosamente senza ricorrere a finanziamenti pubblici di alcun tipo, il braccio caritatevole e sociale della parrocchia. Una povertà sfrontata. Il niente che diventa tanto e che fa paura. Al malaffare e alla malapolitica. Una profezia che viene costruita con l' ausilio fondamentale di alcune suore. Che qualche anno dopo la morte di Puglisi andranno via. Da alcuni mesi la diocesi di Palermo, e per essa la parrocchia di San Gaetano, ha ripreso possesso di quei locali. Ma da allora quella porta rimane sostanzialmente chiusa. Piccolo, o se volete grande, paradosso all' ombra di una beatificazione. Qualcuno dice che torneranno le suore, tuttavia ad oggi non c' è niente di sicuro. A dire il vero, non è l' unica stranezza che si può registrare nei giorni di vigilia dell' evento che si celebrerà al Foro Italico. Proprio sulla facciata della chiesa dove Puglisi visse gli ultimi suoi tre anni di vita e di sacerdozio, c' è una composizione di piastrelle in ceramica. Riproduce l' immagine del presbitero e quella che fu la sua frase che più è conosciuta a livello internazionale: «E se ognuno fa qualcosa». Se la digitate su internet, otterrete 497 mila risultati. Ebbene, sulla facciata della chiesa quella frase è diventata «e se qualcuno fa qualcosa». Che, ovviamente, ha un senso completamente diverso. Pare che voglia invitare a cercare il singolo che, eroicamente, e forse in partenza già sconfitto, voglia impegnarsi a suo rischio e pericolo. Ora, dopo il partecipatissimo momento di sabato, durante il quale avremo sicuramente la possibilità di ascoltare anche pennellate di parole intrise nell' inchiostro sempre fluido e copioso della retorica, è augurabile che da parte della curia diocesana e della chiesa parrocchiale si pensi a come stare ancora più vicini all' eredità e al messaggio di don Pino. Proprio nel quartiere dove egli visse la sua ultima testimonianza fino a cadere con un colpo alla nuca quel 15 settembre 1993. Un martirio maturato non soltanto in odio alla sua fede, ma in quanto quella fede era diventata ricerca di verità, giustizia e diritti, perseguiti con coerenza, perseveranzae coraggio. Edè giusto rimanere fedeli sino in fondo al lascito di un uomo di questo tipo. Ecco, per prima cosa, quando si sarà chiuso il periodo forte della beatificazione, che almeno quel qualcuno ridiventi ognuno. E che ciascuno si ricordi, passando davanti la chiesa di San Gaetano, che don Puglisi intendeva chiamare proprio tutti, indistintamente, alla vocazione di uomini e donne autentici per lasciare tanti segni, piccoli ma decisivi, nel libro della storia. Per questo è stato ucciso. E che, secondo auspicio, quella porta verde, quella persiana, quel balcone della sede storica del Centro Padre Nostro vengano riaperti. Riprendendo e continuando, lì prima che in altri luoghi, il disegno di povertà e di profezia che il piccolo prete delle grandi orecchie volle comunicare con la propria esistenza e attraverso il modo con il quale è stato fatto fuori.

venerdì 10 maggio 2013

Un esercito di maestri e di sindaci contro la mafia.

La Repubblica Palermo
9 Maggio 2013 - Pag. I
La frontiera mafiosa lontana dai riflettori
Francesco Palazzo
«COSA nostra condiziona ancora pesantemente le strutture politiche locali», dice il procuratore Messineo. nei confronti dei piccoli Comuni, insiste il capo della Direzione distrettuale antimafia, i boss hanno «un interesse spiccato». Una fotografia che, pur con tutte le lotte alle cosche fatte negli ultimi decenni, fa capire quanti passi in avanti in effetti abbiamo fatto su uno spaccato fondamentale del problema. Ossia i rapporti tra mondo criminale e ceto politico. E non parliamo degli enti maggiormente in vista, qualii grandi Comunio la stessa Regione, dove forse è più semplice mettere in atto azioni di contrasto. Ma a quanti dei trecentonovanta Comuni siciliani si può applicare l' amara constatazione del numero uno della Procura di Palermo? Tolte, appunto, le più grandi municipalità e alcune comunità di media grandezza, nelle quali magari ci sono interessi concreti delle cosche, ma questi non assumono le caratteristiche belluine e predatorie che invece contraddistinguono i comuni minori, possiamo ipotizzare che ci sia un tessuto molto esteso di democrazia siciliana gravemente malato all' origine. Non possiamo sperare di debellare il rapporto tra mafia e politica se trascuriamo questo aspetto fondamentale della vita istituzionale della regione. Ciò deve far riflettere sul metodo, diciamo così deduttivo, sinora applicato. Viene infatti facile pensare che, immettendo semi legalitari nelle macrostrutture istituzionali, poi questi debbano attecchire, quasi come un implicito e assodato automatismo, nella realtà piccole e piccolissime. Non funziona così se è vera la riflessione, basata su dati di fatto e non su astratti sociologismi sui quali spesso ci attardiamo, del procuratore capo. Lo scrittore Gesualdo Bufalino diceva che per liberarsi dalla mafia basterebbe un esercito di maestri. A lungo termine, suggerire di lavorare sui bambini, sulle nuove generazioni, può essere un giusto e ineliminabile approccio. Ma se a questo versante educativo dei piccoli non si associa un cambiamento nelle teste e nelle azioni degli adulti, a breve e a medio termine, non si va molto lontano. E allora, oltre che un esercito di maestri e maestre, occorre un altro esercito, che in parte è già in campo, nutrito e coraggioso, di amministratori locali, sindaci, assessori, consiglieri comunali, funzionari che facciano funzionare correttamente la cosa pubblica nei luoghi dove non arrivano i riflettori dell' opinione pubblica. A meno che non vengano accesia giorno, per poi spegnersi subito dopo, da indagini e arresti. Ma a quel punto non rimarrebbe che prendere mestamente atto che il danno è stato fatto. È questo, d' altra parte, il lavoro delle forze dell' ordine e della magistratura. Il resto tocca, o toccherebbe, alla politica e alla società che contribuisce a formarla con il consenso elettorale. Quasi sempre siamo interessati ai macrosistemi. Chi vincerà le elezionia Catania?E a Palermo che accade? Sulle amministrazioni regionali che si succedono, poi, il dibattito non conosce sosta. Tutto giusto, per carità. Ma quello che si perde di vista, interessandosi per grandi linee e per massimi sistemi al destino dei pubblici poteri, è che la robustezza del tessuto democratico, e quindi il vero contrasto alle consorterie criminali, si decide, giorno per giorno, direi ora per ora, su un' altra dimensione. Quella che vive all' ombra dei tanti gonfaloni di centinaia di Comuni siciliani. Che piaccia o no, è lì che si gioca tutto, o quasi tutto.

venerdì 3 maggio 2013

Soprattutto nei piccoli comuni si gioca il futuro della Sicilia.

 CENTONOVE
Settimanale di Politica, Economia, Cultura
3 maggio 2013
Pag. 38
UN ESERCITO DI SINDACI E MAESTRI
Francesco Palazzo

"Cosa nostra continua a influenzare e condizionare pesantemente le strutture politiche locali verso le quali ha un interesse spiccato". Questo il commento sintetico del procuratore capo della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, uomo di poche ma significative parole, in occasione dell'ultima operazione antimafia in provincia. Una fotografia che, pur con tutte le lotte antimafia fatte negli ultimi decenni, ci trasferisce un'istantanea che fa capire quanti passi in avanti in effetti abbiamo fatto su uno spaccato fondamentale del problema. Ossia i rapporti tra mondo criminale e ceto politico. E non parliamo degli enti maggiormente in vista, quali i grandi comuni o la stessa regione, dove è forse più semplice mettere in atto azioni di contrasto. Ma a quanti dei trecentonovanta comuni di cui è composta la nostra regione si può applicare l'amara constatazione del dottor Francesco Messineo? Tolte, appunto, le più grandi municipalità e alcune comunità di media grandezza, nelle quali magari ci sono interessi concreti delle cosche, ma questi non assumono le caratteristiche belluine e predatorie che invece contraddistinguono i comuni minori, possiamo ipotizzare che c'è un tessuto molto esteso di democrazia siciliana che è gravemente malato all'origine. Non possiamo sperare di debellare il rapporto mafia politica se trascuriamo questo aspetto fondamentale della vita istituzionale della nostra regione. Ciò deve far riflettere sul metodo, diciamo così deduttivo, sinora applicato. Viene, infatti, facile pensare che immettendo dei semi legalitari nelle macrostrutture istituzionali poi questi debbano attecchire, quasi come un implicito e assodato automatismo, nella realtà piccole e piccolissime. Non funziona così se è vera, come è vera, la riflessione, basata su dati di fatto e non su astratti sociologismi, sui quali spesso ci attardiamo, del procuratore capo del capoluogo. Lo scrittore Gesualdo Bufalino diceva che per liberarsi dalla mafia basterebbe un esercito di maestri. A lungo termine, suggerire di lavorare sui bambini, sulle nuove generazioni, può essere un giusto e ineliminabile approccio. Ma se a questo versante educativo dei piccoli non si associa un cambiamento nelle teste e nelle azioni degli adulti, a breve e a medio termine, non si va molto lontano. E allora, oltre che un esercito di maestri e maestre, occorre un altro esercito, che in parte è già in campo, nutrito e coraggioso, di amministratori locali, sindaci, assessori, consiglieri comunali, funzionari che facciano procedere correttamente la cosa pubblica nei luoghi dove non arrivano i riflettori dell'opinione pubblica. A meno che non vengano accesi a giorno, per poi spegnersi subito dopo, da indagine e arresti. Ma a quel punto non rimane che prendere mestamente atto che il danno è stato fatto. E' questo, d'altra parte, il lavoro delle forze dell'ordine e della magistratura. Il resto tocca, o toccherebbe, alla politica e alla società che contribuisce a formarla con il consenso elettorale. Quasi sempre siamo interessati dai macrosistemi. Chi doveva essere eletto alla presidenza della Repubblica? E per Palazzo Chigi, quale sarebbe stata la scelta migliore? Chi vincerà a Catania? E a Palermo che accade? Sulle amministrazioni regionali che si succedono, poi, il dibattito non conosce sosta. Tutto giusto, per carità. Ma quello che si perde di vista, interessandosi per grandi linee e per massimi sistemi al destino dei pubblici poteri, è che la robustezza del tessuto democratico, e quindi il vero contrasto alle consorterie criminali, si decide in massima parte, giorno per giorno, direi ora per ora, su un'altra dimensione. Quella che vive all'ombra dei gonfaloni di centinaia di piccoli comuni siciliani. Che piaccia o no, è lì che si gioca tutto, o quasi tutto.