domenica 29 gennaio 2017

L'ora legale, un bel film mai visto in Sicilia nella realtà.

La Repubblica Palermo
28 gennaio 2017 - Pag. I
Il film mai visto sulla coerenza delle promesse elettorali

Francesco Palazzo

Dal bel film di Ficarra e Picone, L’ora legale, si possono trarre diversi spunti ma una stessa reazione finale interdetta dal punto di vista dello spettatore che si aspetterebbe un lieto fine. Anche le risate non sono mai piene ma impastate insieme alle constatazioni amare sul malcostume che imperversa tra gli stessi astanti a varie latitudini e intensità. Alla fine cala il gelo sul the end. Nessuna assoluzione, niente alibi. Nemmeno per la politica virtuosa. Che scappa a gambe levate alle prime difficoltà. Ma soprattutto nessuna semplice via d’uscita per i cittadini. Ciascuno sbuca dalla proiezione con le proprie domande irrisolte, con le personali incoerenze e contraddizioni tutte da chiarire con se stesso. Il passaggio che più mi ha colpito è la frase pronunciata da un’elettrice delusa che richiama tutti alla lettura attenta di quello che era il programma del candidato. Era tutto scritto lì, il sindaco eletto stava realizzando punto per punto tutto ciò che aveva promesso. Solo che, lo sappiamo, di programmi elettorali teorici e altisonanti son piene le fosse. È come se si realizzasse un patto tacito tra corpo elettorale e candidati. I programmi e le promesse sono una cosa, la realtà un’altra. È un vero peccato che le leggi elettorali non prevedano, per chi concorre alle massime cariche, che si debba mettere nero su bianco nelle schede elettorali le dieci cose più importanti da realizzare se eletti, obbligando le amministrazioni in carica a prevedere, sin dall’inizio del mandato, scadenze e modalità precise per singola voce da inserire in bella evidenza nei siti web. Non prima di averne ufficializzato l’esistenza davanti ad un garante terzo. Per dire, visto che abbiamo le elezioni comunali a Palermo tra qualche mese, mi chiedevo quale era nel 2012 il programma elettorale dell’amministrazione in carica. Ho fatto una ricerca sul web e non sono riuscito a trovarlo. Allora ho pensato che sicuramente ne avrei potuto scaricare una copia dal sito del Comune. Ma, a meno di non aver cercato male, non mi pare che ci sia traccia di ciò. Per carità, magari la giunta che governa la città da cinque anni ha osservato scrupolosamente quanto aveva prospettato proponendosi all’elettorato palermitano. Ma non essendoci un documento ufficiale intorno al quale confrontarsi in contraddittorio, è difficile stabilire la coerenza della tabella di marcia quinquennale con quanto era stato preventivato. Ricordiamo vagamente, ma attendiamo conferme o smentite da chi ha in mano il programma elettorale o lo rammenta meglio, una chiusura del Parco della Favorita, che doveva diventare il corrispettivo del Teatro Massimo come immagine e simbolo. Un’altra cosa che ci viene in mente è che da Piazza Croci alla fine di via Maqueda doveva estendersi una lunga isola pedonale. Ma pensiamo al futuro. Non sarebbe male se i tre candidati più accreditati, Orlando, Ferrandelli e Forello ci fornissero, ben prima di inondarci di candidati al consiglio comunale e alle circoscrizioni, sulle cui qualità siamo pronti a mettere la mano sul fuoco, dieci punti programmatici ciascuno e li sottoscrivessero, accompagnati da un cronoprogramma, durante un dibattito pubblico, impegnandosi a inserirli sempre in piena evidenza sul sito istituzionale se eletti, in modo che si possano controllare azioni e tempi. Tornando al film di Ficarra e Picone, ho l’impressione che, nella realtà concreta, quasi mai si contrappongono azioni politiche legalitarie rivoluzionarie e innovatrici da parte di illuminati amministratori e ardue resistenze da parte degli amministrati che vogliono difendere i loro orticelli. Le cose sono molto più complesse. Da entrambe le parti, ci pare, sia da chi si propone come il nuovo e dall’elettorato che intende cambiare tutto appoggiando il nuovo, è una bella gara a misurare, nei fatti, incoerenze e parole al vento. Nessuno scappa dai palazzi del potere, per troppa coerenza, come il sindaco di Pietrammare. E non si intravedono masse di elettori delusi che si presentano in massa a chiedere conto delle troppe rigidità legalitarie. Almeno in Sicilia è un film che non si è mai visto.

sabato 21 gennaio 2017

Elezioni Palermo 2017 e Addiopizzo. La rivolta civile che dà energia alla politica.

                   Repubblica Palermo
                20 gennaio 2017 - Pag. I

                Da attacchino Addiopizzo a candidato sindaco: segni di cambiamento.
                Francesco Palazzo

Quante possibilità avevano i sette ragazzi, freschi di laurea, che nella notte tra lunedì 28 e martedì 29 giugno del 2004 riempirono il centro di Palermo dei manifestini con il famoso slogan («Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità») di immaginare che uno di loro, dopo dodici anni, avrebbe potuto puntare a Palazzo delle Aquile? Nessuna. Così è accaduto, anche se quegli attacchini hanno fatto molta strada. Impossibile per i partiti tradizionali valorizzare un’esperienza di questo tipo.Si dirà che la procedura con la quale il Movimento 5 stelle è arrivato a designare il candidato a sindaco di Palermo ha registrato un numero esiguo di votanti (590), se solo si pensa alle folle che ogni volta hanno gremito i gazebo delle primarie. Nel 2012 per decidere il candidato a sindaco del centrosinistra ci furono quasi trentamila elettori, nel 2007 circa ventimila. Ma ciò non toglie, come recentemente ha fatto notare Emanuele Lauria su queste pagine, che tra le file dei grillini si contano tanti quarantenni, sino a questo momento rimasti ai margini della politica, che vogliono comunicare delle idee a questa città. Ma la vera cifra della scelta del popolo grillino, il forte valore aggiunto della candidatura dell’avvocato Salvatore Ugo Forello (uno dei sette di quella notte del 2004) allo scranno più alto di Palazzo delle Aquile è che l’antimafia, senza per questo volere ridurre il prescelto a una sola dimensione, entra dalla porta giusta, la politica, nell’agone politico delle amministrative in programma nella prossima primavera.Questa la novità. Sinora, infatti, abbiamo fatto i conti con uno schema molto simile a quello della tornata elettorale del 2012. Non preventivato, invece, nemmeno tra i Cinquestelle, se non negli ultimi mesi, che potesse emergere nel flusso politico palermitano una fiche che avesse queste caratteristiche. Che aiuta, peraltro, gli stessi Cinquestelle ad archiviare, almeno da un punto di vista politico e agli occhi dell’opinione pubblica, l’affaire delle firme, che rimarranno oggetto di attenzione su altri versanti che non riguardano la politica. Per dirla tutta, a prescindere dall’espressione di voto che ciascuno in primavera consegnerà al proprio seggio, che uno dei fondatori di Addiopizzo sia candidato a sindaco è una buona notizia per Palermo. Lo è perché la criminalità organizzata, oltre che dire ancora pesantemente la sua nel versante sociale e in quello economico, è presente, come evidenziato giovedì da Antonio Fraschilla e Salvo Palazzolo su queste colonne, certo non da sola, nel mercato elettorale in tanti quartieri in vista del rinnovo del Consiglio comunale e delle circoscrizioni. Schematizzando. Siccome la mafia, usando una locuzione abusata, è viva e lotta insieme a noi, una candidatura che proviene da un movimento che si è sempre battuto sul versante opposto, privilegiando un’antimafia dei fatti, anche se Forello per la sua scelta politica ha differenziato il suo percorso rispetto a quello di Addiopizzo, non può che far respirare meglio un po’ tutti. È vero, per amministrare una città si devono percorrere i tornanti della gestione delle cose concrete, occorrono competenze sui singoli rami d’azione, ci vogliono le capacità di mettere le persone giuste al posto giusto, è necessaria la conoscenza approfondita di una città complessa come Palermo. Su questi aspetti tutti gli attori in campo si misureranno privilegiando — speriamo — il versante della chiarezza. Sinora Palermo non è emersa nel dibattito. Hanno prevalso tatticismi e politica politicante. Chi si allea con chi, chi pone veti, chi non sa cosa fare e chi attende risposte. Ma abbiamo l’impressione che l’emergere di questa candidatura grillina, proprio per l’ambito che evidenzia nello spazio politico palermitano, toccando un punto che vorremmo lasciarci alle spalle ma ancora non ce la facciamo, potrà, oltre che rappresentare una valida opzione in campo, far convergere un po’ tutti nel delineare il futuro di Palermo. Che ci auguriamo possa essere quello di una città moderna, pulita, che sappia valorizzare le periferie, dove ci si muova meglio e non soltanto al centro, in cui la cosa pubblica e i denari di tutti siano gestiti sempre più con trasparenza ed efficacia. Ma, su tutto, una città veramente libera dall’ipoteca mafiosa e dall’illegalità diffusa.

giovedì 12 gennaio 2017

Lo strano e unico caso tra il Partito Democratico palermitano e Palazzo delle Aquile.

                 La Repubblica Palermo
                    11 gennaio 2017

       L'anomalo PD palermitano che  non riesce ad avere un suo sindaco

                   Francesco Palazzo

 C'è un'anomalia nella politica italiana, il Partito democratico palermitano. Le elezioni comunali sono vicine e il classico malanno viene fuori come un male di stagione mai curato. Parliamo di un dato che viene da lontano. Il punto è che questo partito, da quando era Pci, poi Pds, quindi Ds e adesso Pd, non ha mai ottenuto una visibilità tale da poter accedere con propri nomi allo scranno più alto di Palazzo delle Aquile. Nella Prima Repubblica, a parte le regioni rosse, in città come Napoli, Roma, Torino e Venezia ci sono stati sindaci comunisti. Nella piccola Aosta ben tre sindaci falce e martello. Nella Seconda Repubblica, da quando si eleggono direttamente i sindaci, il quadro comparativo è disarmante. Cominciamo dal Sud. A Reggio Calabria, dal 1993, il Pds-Ds-Pd è stato protagonista, con propri iscritti, di tre vittorie. In Basilicata, a Potenza, dal 1995 al 2014 il Pds-Ds-Pd ha vinto tre volte con propri esponenti. A Bari il Pds-Ds-Pd dal ’93 a oggi vince con propri dirigenti quattro elezioni. Nel Molise, a Campobasso, dal 1995 a oggi, il Pds-Ds-Pd ha vinto tre volte la carica di sindaco con propri tesserati. Inutile ricordare le esperienze dei sindaci di Napoli e Roma. In Abruzzo, nel capoluogo L’Aquila, dal 1994 a oggi ben tre sindaci rappresentanti del Pd e suoi antenati hanno guidato la città. Lasciamoci alle spalle la zona rossa. La storia non cambia. Sia su Venezia, che su Trieste, passando per Trento e Bolzano, poi considerando Milano, Torino e Aosta, potremmo scrivere le stesse cose evidenziate in dettaglio per le altre città. Se ci trasferiamo a Cagliari, il sindaco attuale è stato esponente del Pds e dei Ds, sostenuto dal Pd in una coalizione di centrosinistra. La musica non cambia in Sicilia. Palermo per il Pd costituisce sempre uno scenario a parte. Lasciando perdere la rossa Enna, attualmente è sindaco dell’altra importante città sicula, Catania, un rilevante esponente del Pd. A Caltanissetta dal 1997 a oggi il Pds, i Ds e il Pd hanno vinto quattro volte le elezioni, tre volte sostenendo propri tesserati. A Siracusa il sindaco appartiene al Pd. Ad Agrigento, nel 2012, è eletto sindaco uno dei dem. A Trapani per due mandati, dal 1993, è stato eletto un dirigente pds. A Ragusa, dal 1994 al 1998, il sindaco è stato uno del Pds. A Messina nel 2005 vince le elezioni un dirigente della Margherita, che poi sarebbe confluita nel Pd. Nel 2013 il Pd al primo turno è arrivato quasi al 50 per cento con un proprio uomo. Come si vede, quella del Pd palermitano è una vicenda unica. Una debolezza mai affrontata sul serio. E non si tratta di presentare o meno il simbolo. Bisogna vedere come e perché lo fai. Se è un atto di forza o di debolezza. Nel 1990, con Insieme per Palermo, fu un atto di subordinazione nell’attesa, vana, che Orlando aderisse alla lista. La Dc fece il pieno e gli omini che si tenevano per mano conobbero una sconfitta cocente. Togliere il simbolo del Pd dalle prossime amministrative, come imposizione esterna, tornerebbe a essere un gesto non di forza. Invece, nel 1993, la lista Ricostruire Palermo, con dentro il Pds, aveva un senso, cosi come quando nel 2001 si diede vita alla lista Per Palermo, con dentro i Ds, c’era una prospettiva politica, anche se disperata, visto che il centrosinistra andava incontro a un cappotto umiliante. E il problema non è neppure Orlando: lui ha sempre fatto il suo, rimediando alla fragilità del Pci e dei suoi eredi. Quando il Pd panormita avrà il coraggio di metterci la faccia, con un proprio dirigente di peso, non con improbabili papi esterni, per la poltrona più importante della politica palermitana? Se si gioca sempre fuori casa ci si fa strapazzare malamente.In ogni caso, comunque vadano le cose in primavera, dopo questa legislatura ci sarà il momento in cui cadrà il dilemma Orlando sì o no. Dunque il cammino va iniziato subito. Il più grande partito italiano non può permettersi ancora per molto tempo di non provare a pesare la propria storia e la propria idea di città nel quinto comune d’Italia. Gestire sconfitte o vittorie altrui è un modo triste di vivere la politica. Quella che manca al Pd di Palermo è una storia. Non è colpa di quelli di adesso, perché una storia si tesse nel tempo. Quando comincerà il Pd a costruirne una a Palermo finendo di essere un’anomalia nel panorama politico italiano?

domenica 1 gennaio 2017

Cercati un amico. Non mafioso.

La Repubblica Palermo
31 dicembre 2016
I successi di AddioPizzo. E quello che resta da fare.

Francesco Palazzo
L’Associazione Addiopizzo, che esordì in una notte del giugno 2004 con affissioni anonime (“Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”), lancia una nuova campagna con un altro slogan “Cercati l’amico”. Un modo per prendere in giro e capovolgere l’invito degli esattori del racket. I quali intimano ai commercianti di cercarsi un conoscente per addivenire a condizioni “migliori” circa la rata da versare. Insomma, un’esortazione a trovare alleati non tra i mafiosi ma nelle associazioni che difendono le vittime del racket, tra le forze dell’ordine e tra gli stessi commercianti per fare massa critica e opporsi non da soli al pizzo. Nel nuovo messaggio appare il mafioso con coppola annullato da una striscia rossa e un numero di telefono, 3279061172, da chiamare in caso di bisogno, oltre che il sito dell’associazione www.addiopizzo.org. Da dodici anni questa esperienza costituisce un punto di riferimento e una speranza non solo per gli imprenditori ma soprattutto per i siciliani. Si tratta di cittadini che, anziché aspettarsi azioni dalle sole forze dell’ordine, dalla magistratura o attendere cambiamenti culturali di lungo periodo, hanno deciso di impegnarsi su un fronte molto difficile nella lotta a Cosa nostra. Pertanto decisivo nel combatterla su un terreno in cui le coppole storte puntano molto. Sia per le entrate che assicurano le azioni estorsive, sia perché in tal modo si ha il controllo costante del territorio. Passeggiando in città vedo questi adesivi che rimangono per tanto tempo, per anni, sulle vetrine dei negozi. Segno che c’è ormai una condivisione diffusa. Che ha anche generato un timore in Cosa nostra, visto che in diverse intercettazioni i boss hanno raccomandato ai loro scagnozzi di non recarsi nei negozi aderenti ad Addiopizzo perché ciò poteva creare grane. Va detto che tale esperienza, come poche altre e al contrario delle tante che muoiono nel giro di poco tempo o che servono anche a drenare fondi pubblici, ha sinora avuto il carattere della continuità e dell’innovazione. Le discussioni e le divisioni vi saranno state anche in questo caso, ma ha finito per prevalere l’obiettivo che si erano dati gli allora ragazzi del 2004. Liberare Palermo e non soltanto la città capoluogo, visto che c’è una sede anche a Catania, dalla odiosa pratica del pizzo. Ovviamente, occorre dire, per non farla troppo facile, che il metodo estorsivo è ancora largamente praticato e molto spesso trova il consenso degli stessi imprenditori. Che vedono tale esborso come una normale tassa da pagare sull’altare della sicurezza. Un po’ come fa il palermitano quando sgancia l’obolo al posteggiatore abusivo. Ma Addiopizzo, con i risultati non trascurabili che ha ottenuto, è sicuramente un pezzo importante del mosaico contro Cosa nostra. Basta sapere che tutti gli altri pezzi devono essere collocati nel posto giusto e che per combattere la criminalità organizzata non c’è una sola chiave di accesso. Dal punto di vista pratico, oltre che pubblicare la lista degli esercenti che non pagano la mafia, si dovrebbe rendere più attraente e diffusa la AddioPizzo-Card, presentata nel 2014 durante la festa annuale del consumo critico “Pago chi non paga” e che consente degli “sconti etici” presso gli esercenti e le imprese convenzionati. Occorrerebbe abbinare la lotta alla mafia alla convenienza per gli acquirenti, passando dallo sconto etico, pensato per finanziare progetti, ad una scontistica vera e propria. In modo che il compratore possa subito misurare sulle proprie tasche quanto ci guadagna comprando in luoghi dove sono banditi gli uomini del racket. Per finire, una notazione politica, pur avendo contezza che già lottando la mafia si fa politica nel senso di un interesse concreto per il destino della polis. Uno dei fondatori di Addiopizzo, l’avvocato Ugo Forello, da quanto leggiamo, potrebbe essere uno dei candidati a sindaco nelle elezioni palermitane del 2017. Segno che la lotta alla mafia, fatta non solo di slogan ma operante concretamente in ambiti difficili e pericolosi come quello del contrasto al racket, può creare percorsi che possono essere messi al servizio, in un ambito più ampio, dell’intera comunità.