giovedì 6 luglio 2017

Quanto conta il popolo delle parrocchie nella chiesa di Palermo?

La Repubblica Palermo

5 luglio 2017

IL DIALOGO CHE MANCA NELLA CHIESA "IN USCITA"

FRANCESCO PALAZZO

Di preti trasferiti e di conseguenti lamentele, sin sotto i balconi curiali di via Matteo Bonello, sono piene le cronache. Dai piani alti dell'arcidiocesi palermitana, sempre lo stesso atteggiamento. Nessuna spiegazione ai praticanti, i quali sarebbero il corpo della Chiesa, il suo cuore pulsante, lo zoccolo duro del messaggio di Cristo sul territorio. Pare che quanto avvenga all'interno del mondo cattolico, non solo palermitano, sia un fatto circoscritto alle gerarchie. Il popolo di Dio, come viene chiamato, è evidentemente, nella quasi totalità dei casi, un gregge da condurre per mano dei pastori senza troppi scambi di idee. Non si vogliono qui scomodare concetti come democrazia o "una testa, un voto". Ma un minimo di dialogo, di confronto, anche a provvedimenti presi, magari meglio prima, sarebbe il minimo. Non dei rapporti tra correligionari ma tra esseri umani. Questo vale sempre, a maggior ragione se lo spostamento avviene non per un fisiologico ricambio, ma per questioni dottrinarie. È il caso di don Alessandro Minutella, la cui forzata rimozione è stata formalizzata dalla Curia, trovando il rifiuto dei parrocchiani sino alla resistenza fisica, rientrata solo adesso. Così che per giorni è stato impedito al successore di prendere possesso, come si dice nel linguaggio clericale, della parrocchia. E già in questo modo di esprimersi sta tutta la dinamica che sottende la vita delle parrocchie e ci fa capire che non siamo di fronte a un caso eccezionale. Il parroco è il capo, questo il messaggio; gli altri, bene che vada, sostanzialmente comprimari. Perciò i fedeli non si percepiscono quali comunità di fede autonome aventi voce in capitolo, ma come masse più o meno indistinte che dipendono dai sacerdoti. Tanto che quando questi vanno via c'è il disorientamento. Ciò denota una forte criticità nella vita delle assemblee cristiane. Del resto, questo stato di cose viene confermato da chi guida le diocesi: se qualcosa non va, si sostituisce un parroco con un altro, e tutto dovrebbe, secondo i piani di chi prende simili decisioni, tornare a posto. Possiamo chiederci che Chiesa è questa? Cosa può comunicare al mondo un siffatto modo di intenderla e praticarla nei rapporti assolutamente asimmetrici tra coloro che stanno sugli altari e le masse che stanno sotto? Per invertire questo pernicioso modo d'essere del cattolicesimo si dovrebbe iniziare a dialogare con le persone. Non agendo sulla leva della misericordia e del paternalismo. Ma riconoscendo diritti tra le parti. Dicendosi reciprocamente che non è da una tunica che dipende un percorso cattolico e che i fedeli non sono i terminali di un'azione pastorale. Per far questo ci vogliono modifiche radicali, nella forma e nella sostanza. Perché allora, per dare un segnale in controtendenza, altrimenti è dura far passare il messaggio che siamo con Francesco di fronte a una Chiesa "in uscita", che si rinnova, l'arcivescovo Corrado, così come richiesto dalla gente del luogo per un'intera settimana, non è andato nella parrocchia in questione per un confronto con quanti la frequentano? Certo, sarebbe entrato nel vortice del conflitto. Ma la vita pubblica, e quella di un vescovo lo è, non è fatta solo di consensi. Siamo certi che a don Lorefice sia rimasta la curiosità sulla parte di ragione, anche piccola, di cui queste persone, a prescindere da don Minutella, sono portatrici e che andrà ad appurarla di persona. E, visto che siamo in tema di chiarimenti, sarebbe opportuno che con i fedeli della Chiesa di Palermo si affrontasse un caso, eclatante per cento volte quello di don Minutella. E cioè la rinuncia, caduta da mesi nel silenzio, del vescovo ausiliare, a causa di contrasti che scorrono nella Chiesa palermitana. Anche qui il popolo di Dio non può essere spettatore, deve sapere cosa accade, visto che ancora non c'è un vicario, farsi un'idea e dire la propria.

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