mercoledì 16 agosto 2017

I siciliani e la coperta di Linus dell'autonomia.

La Repubblica Palermo 

15 agosto 2017


E SE IL PROBLEMA DELLA SICILIA FOSSERO I SICILIANI E NON L'AUTONOMIA?

FRANCESCO PALAZZO 

Quando si parla di autonomismo, l'argomento più visitato nella storia siciliana degli ultimi sette decenni, soprattutto a ridosso delle elezioni, si prendono di mira la politica partitica e il suo modo di rappresentarsi nelle istituzioni. Ho però sempre più l'impressione che la questione sia più complessa e ci coinvolga come siciliani più di quanto crediamo. Forse è arrivato il momento di interrogarci sui nostri comportamenti nella sfera pubblica (perché la politica la facciamo tutti) e privata (che informa di sé anche la vita politica). E ciò a prescindere dalla questione autonomistica. Perché, se l'autonomismo è stato intravisto come la medicina adeguata per noi, non è scritto da nessuna parte che lo statuto ordinario ci avrebbe reso diversi. Ciò è dimostrato dal fatto che non solo le regioni a statuto autonomistico, ma anche quelle a regime ordinario si muovono lungo scale economiche, culturali e sociali non legate alla specialità o alla normalità. Allora, verosimilmente, il problema non è cambiare il farmaco, lo statuto autonomistico, assumendone un altro, diventando una regione a statuto ordinario. Ma iniziare a comprendere come siamo noi, a prescindere da cosa c'è scritto nella carta d'identità istituzionale, in quanto abitanti di questo triangolo posizionato al centro del Mediterraneo. In una società tutte le componenti si condizionano a vicenda contribuendo a scrivere la storia e la cronaca. Viviamo in una democrazia e quella che banalmente si chiama politica non è appannaggio di un gruppo ristretto di sacerdoti. È minimamente pensabile che il comparto produttivo, quello professionale, le università, il terzo settore, l'associazionismo, le famiglie, i singoli e via elencando, non abbiano nulla a che fare con il mondo che li circonda? Sarebbe oltremodo ipocrita, a meno di non voler ripetere sino allo sfinimento la filastrocca della società civile migliore di quella politica, continuare ad indicare il dito e non investirsi direttamente della responsabilità dello stato in cui si trova questa terra, sia che vediamo il bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno.Guardiamoci un attimo dentro. E cerchiamo di capire se il problema è stato davvero l'autonomismo e la sua applicazione nelle stanze dei partiti e nei palazzi del potere. Se dovessimo convincerci ancora di questo, autoassolvendoci, potremmo proseguire nel ritenerci, come società civile, che comunque fa politica pure col silenzio, del tutto estranei a questa storia e andare avanti con il nostro modo di essere cittadini di questa isola senza mutare nulla di ciò che siamo. A quel punto il duecentesimo dibattito sull'autonomismo, invece che la classica risata, potrebbe seppellirci e neppure ce ne accorgeremmo. Se, invece, qualche domanda sul nostro modo d'essere dovesse inquietarci, è probabile che ancora possiamo mettere a tavola un futuro migliore per noi e per le generazioni nuove. Perché la domanda non è come sta l'autonomismo, ma come sta la Sicilia. Ed è un quesito intorno al quale solo chi non ha peccato può permettersi di scagliare la prima pietra. Per restare alla cronaca politica, in vista delle regionali i partiti stanno facendo quel che possono e sanno. Ma possibile che da tutto il resto della società siciliana nulla arrivi in termini di analisi, strategie, proposte, programmi e nomi? A volte si ha l'impressione che la coperta autonomistica, per diversi milioni di siciliani, sia un alibi per giustificare l'immobilismo dal quale non riescono a smuoversi. Una moltitudine sterminata di persone la quale, più che impegnarsi in cittadinanze attive e consapevoli, sta con la testa sotto la sabbia. Preferendo additare, ogni tanto che sonnecchiando la alza su, sai che originalità e coraggio, la "politica", senza guardarsi allo specchio.

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